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Pippo

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Mi chiamo Pippo e sono un maiale.

Per la precisione un mini pig vietnamita. Vivo tranquillo in un rifugio del Piemonte - gli umani qui lo chiamano santuario - insieme ad altri animali da fattoria, in mezzo a prati e boschi. Sono arrivato molto piccolo, otto anni fa con il papà e sei fratellini. La mamma intanto era morta di fame, perché nel posto terribile in cui eravamo rinchiusi con molti altri animali nessuno ci dava cibo o acqua, abbandonati ormai da molte settimane.

I volontari ci hanno salvati e ci hanno portati al rifugio, finalmente con un pasto e un riparo sicuro. I miei fratelli poi sono stati tutti adottati e io sono rimasto qui, tra mucche e galline, pecore e capre, cavalli, asini e altri maiali, tutti salvati come me da esperienze tristi e violente.

Sono fortunato perché qui sono considerato per quello che sono, un essere senziente con carattere, sentimenti, memoria, bisogno di relazione e di comunicazione. Fuori di qui sono pochi a saperlo e immaginarlo. Perché un maiale per la maggioranza delle persone non è un animale, ma una fetta di prosciutto, un cubetto di pancetta o di lardo, uno zampone a Natale. I bambini ci vedono come pezzi impacchettati nel supermercato e non sanno che abbiamo un corpo che respira, un cervello che pensa e ricorda, un cuore che batte di gioia, paura o tristezza, una voce che emette un linguaggio molto articolato. Ma quelli che vengono qui e con le loro maestre si siedono tutti intorno a me , scoprono il mio pelo ruvido, il mio nasone umido che scava e annusa curioso, la mia voce lamentosa che chiede pappa o coccole, scoprono il mio box che a me piace tenere pulito (chi dice che i maiali sono sporchi?), e se ne vanno contenti salutandomi. Dicono “Arrivederci Pippo!” senza immaginare che sono fortunato anche per questo: io qui ho un nome, ho una dignità, mentre i miei fratelli che a migliaia vivono stipati negli allevamenti intensivi in condizioni estreme di schiavitù, non hanno nome, sono solo numeri, merce in produzione, chili di peso. Chissà se qualcuno di questi bambini ripensando al nostro incontro ricorderà la frase di Gandhi che sta scritta sul muro della tettoia: “Tutto ciò che vive è il mio prossimo”.

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